Il sapere, per quanto indispensabile, da solo non basta

Dal camice che indosso nasce la forza di chiedere più ascolto, più coerenza, più coraggio, più dignità.


Nel campo della disabilità abbiamo fatto molto, è vero. Ma la strada che abbiamo davanti è ancora lunga, e il tempo non ci aspetta.

I progressi scientifici e clinici sono straordinari. In ambito neuroscientifico, genetico e neurobiologico, la conoscenza è avanzata enormemente: oggi siamo in grado di effettuare diagnosi più precoci, di offrire trattamenti più mirati e di ridurre l’impatto sociale, emotivo ed economico di tante condizioni.

Eppure sono convinto che il sapere, per quanto indispensabile, da solo non basta. Ho trascorso gran parte della mia vita professionale — e personale — all’interno dell’Associazione La Nostra Famiglia e nel suo Polo Ospedaliero. E ogni giorno, accanto ai miei bambini e ai loro genitori, porto dentro di me la stessa domanda, semplice e potente: che cosa ci chiedono davvero le persone che si affidano a noi? Ci chiedono di essere Samaritani. Non entrerò nel merito tecnico di leggi, decreti o circolari. Il mio compito è un altro: non abbandonare mai il camice. Anzi, lo indosso e lo indosserò sempre con ancora più orgoglio, perché è il simbolo di chi non solo cura, ma si prende cura. Vorrei allora richiamare una metafora antica, ma incredibilmente viva ancora oggi: quella del Buon Samaritano. Chi è il Buon Samaritano, oggi? È chi non volta lo sguardo altrove. È chi si ferma di fronte al bisogno, non per compassione, ma per responsabilità. È chi sa vedere la persona oltre la fragilità. È chi comprende che la vera cura non si limita al corpo, ma restituisce dignità, possibilità, autonomia. Noi, ogni giorno, siamo chiamati a essere quei Samaritani. Camminiamo accanto a ragazze e ragazzi che non chiedono compassione, ma opportunità. Che non chiedono scorciatoie, ma strumenti. Che non chiedono privilegi, ma diritti. Dobbiamo camminare con loro non solo curando, ma credendo che ogni barriera possa essere abbattuta, che ogni limite possa essere sfidato, che ogni sogno diventi possibile, insieme. Ecco perché non abbandonerò mai il camice. Dal camice che indosso ogni giorno nasce la forza di chiedere con determinazione e senza compromessi: più ascolto, più coerenza, più coraggio, più dignità.

Perché non basta curare. Bisogna prendersi cura. E prendersi cura significa non accontentarsi. Significa pretendere servizi migliori, politiche più giuste, comunità più inclusive. Significa trasformare ogni gesto, anche il più piccolo, in un atto di cambiamento. Perché il cambiamento di cui abbiamo bisogno non si scrive nei proclami, non si costruisce nei convegni, non si delega agli altri. Il cambiamento nasce nei gesti quotidiani: di chi si ferma, di chi ascolta davvero, di chi aiuta, di chi riparte insieme. E oggi, tutti noi, abbiamo una scelta davanti: possiamo limitarci ad assistere, oppure possiamo essere protagonisti. Possiamo osservare, oppure possiamo camminare insieme, come Samaritani.

Antonio Trabacca
Direttore del Polo ospedaliero scientifico di Neuroriabilitazione Medea di Brindisi